mercoledì 29 agosto 2007

altri esseri mutanti

A Falconara, in quegli anni, si aggirava anche un altro essere mutante, che avevo visto passare tra l’altro nella zona di casa mia… quindi dovevamo essere pure vicini…
Ero preso tra due fuochi: da una parte la mia originaria ritrosia ai rapporti umani, annessa alla difficoltà di fare conoscenza con persone nuove, dall’altra l’urgenza di condividere un percorso che sembrava difficile se condotto in solitaria. Non si poteva restare ancora chiusi a casa a suonare la chitarra sulle note dei Kaos Rock!
Quindi, decido di appostarmi per capire chi è quella persona che se ne va in giro con i jeans sdruciti e una camicia a penzoloni con sulle spalle il simbolo dei Crass. Sì perché non è che si porta il simbolo dei Crass come si porta “The Clash” o “Sex Pistols”. Portarsi i Crass sulle spalle significava già essere in un altro mondo, ancora più lontano.
Non ricordo quali furono i passaggi, ma sta di fatto che ci conoscemmo. Era Daniele. Sarebbe stato il chitarrista degli Azione Non Violenta. Ma non subito.

Cominciammo a vederci. Ogni tanto veniva alle nostre prove, ma più spesso ce ne andavo in giro. Quasi sempre in Ancona. Falconara ci stava stretta. Noi volevamo uscire dalla provincia… e allora andavamo al capoluogo!
Perché? Boh. Sta di fatto che prendevamo l’autobus e facevamo i dieci chilometri canonici per andarcene in giro per le vie doriche a parlare… di che? Non posso ricordarmi tutto.
Andavo per negozi di dischi. Sì, quello me lo ricordo. Negozi nei quali era impossibile trovare ciò che cercavamo, ovviamente. Solo una volta, mi ricordo, passò da casa mia e mi disse: «Blu Star c’ha i Crass!». Non potevamo crederci: un negozio di dischi aveva nientemeno che il doppio dei Crass, in cofanetto nero, Christ. The album. Ovviamente andiamo subito a verificare ulteriormente, sperando non l’avesse già venduto (già, ma a chi?).
Il negozio era Blue Star, specializzato in jazz e musica colta, sempre pieno di gente con la puzzetta sotto il naso. Entriamo. Il negozio era famoso anche perché ti faceva ascoltare i dischi, quindi gli chiediamo «Ce lo fai sentire?». Lui – ovvero il proprietario, che è ancora tale – guarda un attimo noi e il disco. Interdetto. Vorrebbe dirci di no, ma siccome è di sinistra e cerca di fare il compagno ci dice di sì. Erano i Crass: “Ladies and gentelman is Christ!...” e poi parte “Have a nice day”! Grandioso… per noi ovviamente… per il negoziante un po’ meno. Per prima cosa abbassa il volume, come se qualcuno avesse urlato una bestemmia in chiesa, poi, dopo pochi secondi che eravamo con le orecchie a penzoloni ad ascoltare ci dice: «…lo tolgo eh?». E toglilo! Ci guardiamo un attimo e compriamo il disco.
Era bellissimo. Non solo per il contenuto musicale, ma per come era fatto.

Due dischi, uno con materiale inedito e un secondo dal vivo, un libretto formato LP con un sacco di pagine e di testo. Una manna da tradurre nelle giornate che passavo chiuso in casa. O la sera.


Quel disco è una sorta di reliquia di quegli anni e questo il suo contenuto:

Steve Ignorant/vocals
Joy de Vivre/vocals on Birth Control and Sentiment
Peeve Libido/backing vocals
Phil Free/lead guitar and synthesizer of Sentiment
Sri Hari Nana B.A/rhythm sitar
Sybil Right/bass
Elvis Rimbaud/drums and radio
G. Sus/tape collages
Strings on Reality Whitewash by Paul Ellis and The Southern Symphonietta.

DISCO 1
CHRIST - THE ALBUM

Side 1:
Have a Nice Day... Mother Love... Nineteen Eighty Bore... I Know There Is Love... Beg Your Pardon... Birth Control 'n' Rock'n'Roll... Reality Whitewash

Side 2: It's The Greatest Working Class Rip-off... Deadhead... You Can Be Who?... Buy Now Pay As You Go... Rival Tribal Revel Rebel (Pt. 2)... Bumhoofer... Sentiment (White Feathers)... Major General Despair

DISCO 2
WELL FORKED BUT NOT DEAD

Personnel as above except Peeve Libido who is on lead vocals on Nagasaki Nightmare, Darling, Berkertex Bribe and Shaved Women.
Side 1:

Banned From The Roxy... The Sound Of One Hand... Punk Is Dead... Nagasaki Nightmare... Darling... Beta Motel Blues... Berkertex Bribe... Fold It In Half... Big Hands... Heart-throb Of The Mortuary... Bumhooler... Big A Little A... First Woman
Side 2:

Arlington 33... Bomb plus Bomb tape... Contaminational Power... I Ain't Thick... G's Song... Securicor... I Can't Stand It... Shaved Women... A Part Of Life... Do They Owe Us A Living... So What... Salt 'n' Pepper

martedì 21 agosto 2007

Verso il punk - via Rimini

Il punk stava progressivamente entrando nella mia vita, attraverso canali inconsueti, da solitario quale ero e da residente nella provincia della provincia. Con un amico di scuola, Maurizio A., andavamo a rifornirci di dischi alla Dimar di Rimini, che vendeva anche per corrispondenza. Lì potevo trovare parecchi dischi punk, la maggior parte d’importazione.

Ricordo ancora i nostri viaggi in treno per arrivare al negozio di dischi. Maurizio suonava la fisarmonica in un’orchestra di liscio tra le più conosciute della zona, ma alla Dimar veniva a comprare dischi di classica, di jazz, di grandi vocalist soul. Era anche un appassionato di elettronica e suonava la tastiera molto bene. Leggeva tutti i giorni La Gazzetta dello Sport, dalla prima all’ultima riga. Giocavamo a tennis assieme, l’ultimo sport che praticherò nella mia vita.
Insomma, arrivare a Rimini, fare il tragitto fino al negozio di dischi, entrare lì dentro, era una sorta di rituale che ci concedevamo due-tre volte l’anno. Il reparto di musica punk era dentro il più ampio reparto rock al secondo piano però, con mio stupore, aveva una sezione dedicata. Due contenitori pieni di LP (siamo sempre all’epoca del vinile).
Il catalogo che arrivava a casa era meno ricco, ma c’era spesso qualcosa di interessante. Lì ho comprato oltre ai Sex Pistols e ai Clash anche i Sham 69, gli Angelic Upstarts e gli Exploited, ma pure Dead Kennedys, Black Flag, Discharge, Crass, Poison Girls, Flux of Pink Indians e molto altro ancora.


In quegli anni vennero proiettati anche dei film sul punk, al cinema di Chiaravalle. C'era Rude Boy dei Clash, The Great Rock 'n' Roll Swindle dei Pistols, Rock 'n' Roll High School con i Ramones e un paio di altri che non ricordo. Eravamo in cinque-sei agli spettacoli pomeridiani. Praticamente unmento, per il gestore...

Mi ricordo ancora la mia prima spilletta, rettangolare, di ferro, comprata per corrispondenza, dei Sex Pistols. La portavo su un impermeabile alla Bogart chiaro, con il bavero largo tipicamente anni ’70. Erano i miei primi passi verso una realtà che conoscevo poco ma che mi affascinava, fatta di rifiuto della società, delle convenzioni, della politica istituzionale, della musica istituzionale, dell’idea di “normalità”.
Sempre per corrispondenza comprai una maglietta dei Crass, bianca con la scritta rossa, la grande A cerchiata e il mitra spezzato.

La mia chitarra suonava sempre più distorta, abbandonando definitivamente il tentativo di destreggiarmo in arpeggi e virtuosismi solistici.
Leggevo il manifesto, che all’epoca per quattro pagine si faceva pagare 1000 lire! Leggevo A. Rivista anarchica e cominciavo a capire qualcosa di più sull’anarchia e sul pacifismo, di cui sentivo parlare nella musica che ascoltavo.
Cominciavo a vestirmi solo di nero. Avevo un trench che era di mio nonno, o di mio zio, che mi piaceva da morire. Tutto dritto con il bavero piccolo, anni ’50-’60. Lì sopra appuntavo la mia spilla. Avevo un lucchetto nel passante dei pantaloni e una cinta bullonata fatta in casa. La fatica per trovare le borchie in vendita e per inserirle in una vecchia cinta di cuoio nero che portavo rigorosamente bassa, sui fianchi. Portavo un foulard a fantasia bianco e nero sul passante destro dei pantaloni che penzolava giù lungo la coscia. Pantaloni strettissimi, ovviamente neri, con le cerniere in fondo.
Non ero ancora riuscito a trovare un chiodo (il giubbotto nero da motociclista portato alla notorietà da Marlon Brando ne Il ribelle). Quando era più freddo indossavo l’eskimo verde. Mio padre ce li aveva dal lavoro, toglievo la scritta della grossa azienda per la quale lavorava come operaio e lo mettevo io, con sopra le mie spille. I guanti avevano sempre le dita tagliate.
I capelli. Dovevano stare dritti. Ma come si faceva se ancora non c’era il gel?
Cotonandoli con il phon se erano lunghi, oppure con la saponetta, sfregandoli e irrigidendoli, o con la lacca della mamma, salvo uscire di casa lasciando una scia di parrucchieria da vecchia signora.
Capivo che intorno a me c’era fermento. Ricordo un concerto degli SWBZ di Ancona tenutosi nei locali dell’ex-manicomio al quale ero andato… con i miei genitori che mi aspettavano fuori (avevo credo quindici anni, non avevo ovviamente la patente, non avevo il motorino, non avevo amici più grandi, non c’era un autobus che poteva portarmici, era notte…)!
Poi uscì un libro Province del Rock ‘n’ Roll, che perlava oltre che degli SWBZ, dei Papers Gang e altri marchigiani che suonavano qualcosa che forse era già post-punk… Boh!
Certo è che essere punk a Falconara Marittima, provincia di Ancona, nelle Marche, era proprio un bel problema. Non c’era Internet, non c’erano i cellulari.
Praticamente, intorno era tutta campagna!

lunedì 20 agosto 2007

L'inizio: 1981 (o giù di lì) - i Black Lizards

Mi sembra che stessi frequentando il secondo anno dell’ITIS quando mi comperai (anzi: mi comperarono – i miei) una chitarra elettrica. Era una Ibanez MC100DS, comprata da Rossi-Strumenti musicali in Ancona. Per l’amplificatore sfruttai invece una conoscenza pesarese di mio zio e comprai un TreP (che Giulio un giorno mi rivelò suonare come una radiolina!!!). Ah! E un mitico effetto distorsore, wah-wah, riverbero che ogni volta che accendevo si prodigava in un larsen lancinante…

All’epoca ascoltavo i Sex Pistols e i Clash e quindi il fatto che l’ampli suonasse male non mi disturbava molto, anzi, non me ne accorgevo affatto. Però ascoltavo anche Ivan Graziani, Alberto Camerini, Eugenio Finardi, gli Area. In quegli anni uscì la compilation Rock 80 e impazzivo per i Kaos Rock, le Kandeggina Gang e gli Skiantos (tutti con la kappa!).


Era l’epoca del vinile, certo.
Con la chitarra ci suonavo sopra [“suonare sopra” significa tentare di accompagnare il disco mentre suona e non suonare seduto sopra copertina, ovviamente…], nella mia camera.
Sono sempre stato un tipo solitario.
Anche quando ero piccolo guardavo dalla finestra i bambini giocare tra loro. Mi divertiva. Ma non avrei mai pensato di scendere di sotto a giocare con loro. Tra la finestra e la strada c’era una distanza per me salutare. Solo una volta ho cercato di comprendere la sensazione che vivevano i miei coetanei tra la polvere della salita ghiaiosa, ma fu disastroso. Io conoscevo tutti i loro giochi dal punto di vista teorico (infatti li guardavo sempre), ma sul lato della pratica ero una frana. Si trattava di una sfida a “cappuccetti”, sì quelli che si arrotolano con le strisce di carta e poi si sparano con la cerbottana.


I più “teppisti” avevano cerbottane supermultiple, fatte con quattro-cinque canne sovrapposte legate con lo scotch, di solito nero o bianco. Io avevo una cerbottana da due.
E ogni tanto “sparavo” dalla finestra.
Sì perché in quegli anni le strisce erano di carta, ora se le fanno di coca. Pazienza.
Ma questo è moralismo d’accatto! Torniamo a noi.
La carta era di solito quella di giornale, preventivamente tagliata a strisce che, in forma di mazzetto, venivano portate nella cinta dei pantaloni. Come un fallo floscio che pendeva dalla cerniera i bambini degli anni Settanta indossavano con orgoglio fasci di potenziali “cappuccetti”, pronti ad essere arrotolati, leccati in punta per l’incollaggio e sparati. La carta da giornale aveva un’ottima tenuta con la saliva. I più aggressivi avevano strisce di carta patinata, più difficili da incollare, ma estremamente pungenti una volta sparati.
Questa parentesi era necessaria. Non che fossi solo, piuttosto “solitario”. Avevo anch’io qualche amico con il quale sfogare ludicamente l’energia sessuale repressa dell’adolescenza in fiore. Giocavo anch’io a soldatini (la serie HO della Atlantic! Li conservo ancora dentro una scatola di cartone), ma preferivo giocarci da solo. Nei pomeriggi postscolari delle elementari prendevo la mia collezione (che si rimpinguava di solito il lunedì dei giorni di vacanza, giorno di mercato), ne estraevo delicatamente i contenuto e li posizionavo sul tavolo della cucina. Poi, una volta schierati i sommozzatori, i carabinieri, la fanteria, i mezzi corazzati ecc., li guardavo dall’alto e quindi li rimettevo ordinatamente nelle loro scatole.



Ma ero bambino.
Non migliorerò crescendo.
Insomma, mi ero comprato una chitarra e la suonavo da solo.
Un giorno un mio compagno di classe (Pino) mi rivelò di avere un amico (Marco) che – come me – si era comprato una batteria e la suonava da solo. Poteva metterci in contatto.
In uno slancio di socialità accettai e conobbi Marco e la sua batteria blu.
Non sapevamo bene come fare, ma un altro compagno di scuola (Gianluca R.), anche lui di Falconara e suonatore (capace) di basso elettrico esercitava le sue dita in un locale concessogli dal Comune, all’interno di un ex-asilo, nel centro della città. Ci dice che se mettiamo su un gruppo potrebbe ospitarci nella sua stanza (attenzione: questo nome sarà fondamentale!) per “fare le prove” una volta la settimana.
Parentesi: questa cosa di “fare le prove” è sociologicamente interessante. Quando si dice “fare le prove” ci immaginiamo che esse siano finalizzate a un obiettivo. Nel caso specifico: un concerto. In realtà all’epoca si facevano le prove e basta, tanto era difficile immaginare l’ipotesi di suonare per un pubblico vero. Si “facevano le prove” perché si aveva voglia di suonare. E basta.
Quindi: avremmo avuto a disposizione una stanza per le prove!
Mancava il gruppo! Allora: chitarra – presente! Batteria – presente! Ci vuole almeno un basso! Ach! Un gruppo senza basso non è credibile. Come si fa?
Aspettiamo che inizi il terzo anno. All’ITIS è quello in cui si passa dal biennio al triennio specialistico. Io faccio meccanica. Pino elettronica, insieme a Marco. Nella loro classe c’è Giulio. Che suona il basso! Che culo, ragazzi!
Beh, in realtà in quegli anni suonavano un po’ tutti, quindi non era difficile trovare dei musicisti in fiore tra i propri amici-colleghi-compagni.
Giulio era fratello di altri musicisti. Lui sapeva suonare. Noi strimpellavamo. Comunque accetta, non so se per piacere, per carità, o perché anche a lui faceva comodo un posto dove suonare.
Finalmente: fondiamo i Black Lizards! Le lucertole nere! Era il 1981, avevamo quindici anni, e ci trovavamo nella stanza di Gianluca R. a suonare… cosa?
Per fortuna Giulio ne capiva di musica e sapeva suonare parecchie canzoni, quindi noi a ruota. Gli feci ascoltare London Calling dei Clash e In God we Trust dei Dead Kennedys. Che a lui non piacquero (ascoltava i Weather Report, Jaco Pastorius, Level 42, quindi…), ma trovò lì dentro qualcosa che poteva consentirci di trovare un accordo: Jimmy Jazz per i Clash, e – addirittura – We’ve got a bigger problem now per i DK, che cominciammo a suonare pian piano sempre meglio. Poi facemmo Psyhco Killer dei Talking Heads, Hey hey, my my di Neil Young, mi pare anche Roxanne dei Police, o forse un’altra, non ricordo.
Insomma un repertorio scarnissimo che non poteva portarci da nessuna parte al di fuori della stanza. Eppure ci trovavamo lì. E ci divertivamo come pazzi.
Ovviamente il trio chitarra-basso-batteria si estese lentamente. Nessuno era capace di cantare, né tantomento voleva cimentarsi, quindi dovevamo trovare un vocalist. C’era bisogno di un soggetto sufficientemente pazzo da spaziare da Talkin Heads ai Dead Kennedys. Ovviamente uno così c’era: Fabrizio suonava le congas ed era sufficientemente folle da cantare in un inglese assolutamente improvvisato ma efficace. Era dei nostri!
Poi i riff di chitarra. Io riuscivo sì e no a tenere il tempo e quindi a fare la ritmica. Gli assoli non li sopportavo, li facevo solo a casa, imitando Ivan Graziani e con un sottofondo musicale adatto. Assieme agli altri non mi venivano proprio, perdevo il tempo, non conoscevo le scale ecc. C’era bisogno di un chitarrista al quale piaceva essere protagonista. Ovviamente c’era anche lui. Gianluca S. fu presto dei nostri. Avevo una Eko che a me non piaceva affatto, ma lui la suonava bene, con uno stile tutto suo, che si riconosceva subito. Neppure lui era un “grande chitarrista” (ce n’erano un paio di “grandi chitarristi” da quelle parti, che quando suonavamo noi se ne andavano con aria abbastanza schifata), ma per noi era grandissimo.
La formazione dei Black Lizard è importante perché da quella nasceranno i gruppi che animeranno la “scena” falconarese degli anni Ottanta. Infatti: Giulio e Fabrizio fonderanno gli Ashill Forrest, gruppo fusion di gente che sapeva suonare; Gianluca S. fonderà gli Spasmi, new wave tipo Ultravox ma soprattutto Simple Minds e Depeche Mode; io e Marco fondammo gli Azione Non Violenta, ma non subito.
Si deve prima passare per un’altra storia.

istruzioni per l'uso

Avevo iniziato, qualche settimana fa, a scrivere questo blog su myOpera. Opera è un browser alternativo a Explorer che, a mio avviso, funziona molto meglio e ha molte funzionalità aggiuntive che lo rendono pratico e veloce. Tra queste funzionalità vi è la possibilità di creare spazi personali piuttosto belli da vedersi ma, mi rendo conto ora, poco adatti all'interazione e - soprattutto - poco visibili.
Ho deciso quindi di trasferirmi su blogger, che invece supera questi problemi.
Ciononostante mantengo lo spazio su myOpera, linkato qui a fianco, ma non voglio creare inutili doppioni, pertanto ho deciso di distinguerne i contenuti come qui sotto elencato.
su strategiadellalumaca.blogspot.com troverete:
la storia della lumaca, a partire dagli anni Ottanta - con qualche incursione nel passato più remoto - e le attività più recenti;

su my.opera.com/marcone66 troverete:
una sorta di curriculum vitae, quindi articoli pubblicati e non, fotografie, immagini, lavori e quant'altro. L'aggiornamento su Opera verrà indicato su blogspot e viceversa.

Ok. Si riparte da zero, quindi.

domenica 19 agosto 2007

introduzione


questo è il logo dello spazio che mi sono creato. "strategia della lumaca": una ruspa che esce da una chiocciola e che, nonostante la sua lentezza, fa piazza pulita di ciò che la disturba. cosa trovete qui? un po' di azioni e parole, alcune delle quali già apparse altrove, altre nuove.
Come ogni spazio di questo genere c'è forse un briciolo di egocentrismo, ma neanche tanto. Se non per mostrarsi, allora perché? perché internet è forse il mondo e perché visto che ci stiamo - al mondo - forse vale la pena di stare anche su internet.
con una parola ambiziosa, ma molto alla moda, "la strategia della lumaca" vuole essere un "progetto" che ha a che fare con la cultura nella sua definizione più ampia. E dunque produzione e veicolazione di eventi culturali, di "beni" fruibili e disponibili (cominciamo ad abbandonare la nozione di "prodotto" culturale). Un progetto che mi riguarda e che riguarda tutti coloro che, in questo percorso, vogliono condividere alcune scelte, alcune iniziative, alcuni spunti.
Molte delle cose che troverete qui sono già state avviate con l'associazione culturale l'Orecchio di Van Gogh, altre seguiranno, altre ancora l'hanno preceduta.
La "strategia della lumaca" parte da lontano, dagli anni Ottanta (quando Milano era da bere e Falconara da bruciare...), da quando si consumarono i suoni del punk, e giunge fino ad oggi. Anzi, fino a domani.
Dentro alla chicciola, quindi, oltre a me, ci si sono trovati in tanti: amici, compagni, spettatori... come diceva una canzone. Alcuni consapevolmente, altri meno hanno contribuito a lasciare il filo di bava che segna il cammino.
Vedremo, strada facendo, di che si tratta.