giovedì 18 ottobre 2007

[post-appunti]

Eravamo ribelli? Non lo so. Certo, lo eravamo agli occhi dei più. Ma non so quanto lo fossimo realmente. Quanto riuscissimo effettivamente ad esserlo. La sera tornavamo a casa e tutti trovavano accoglienza. Certo, spesso problematica. Altrove era diverso. Penso a Milano, a Bologna, a Roma. Da noi era così. Più o meno.
Intimamente volevamo cambiare il mondo.
Nella maggior parte dei casi il mondo ha cambiato noi.
Ma in chi ha vissuto quelle esperienze rimane una scintilla nello sguardo, che difficilmente si può sopire. È per questo che mi sono deciso ad aprire questo blog. Non per compiere l'ennesimo tentativo di autocelebrazione.
Piuttosto perché se essere incazzati a sedici anni è una cosa normale, un diritto, esserlo a oltre quaranta mi sembra sia un dovere, soprattutto per chi ha mantenuto qualcosa di quella scintilla nello sguardo.
Coloro che ho incontrato lungo questo cammino (che non è fatto di soli punks, ma di altre anime, di tutti i generi, che di seguito incontreremo), lento ma inesorabile come quello di una lumaca appunto, hanno condiviso con me le loro aspirazioni, i loro desideri di un mondo migliore pensando che, primo o poi, qualcuno ci desse ragione. Che qualcuno un giorno ci dicesse: «era quello che stavamo aspettando, non si poteva più andare avanti così!». Ma non nelle grandi cose. Nelle piccole. Nelle microscopiche. Nel rispetto, nel riconoscimento dell’altro. Nella non-competizione. Nella correttezza dei rapporti. Nella sincerità. E invece no.
Il mondo non stava aspettando noi. Il mondo è degli altri.
Per questo, passati i quarant’anni, uno può anche tornare ad incazzarsi.
E stavolta definitivamente.

Ieri ho recuperato dal mio archivio le fanzine punk degli anni 80 e ho trovato anche la prima esperienza di rete alternativa antagonista che forse si sia realizzata in italia. Era PUNKAMINAZIONE, il tentativo di realizzare uno strumento di collegamento fra le diverse realtà sparse sul territorio, molto prima di internet. Ho i primi due numeri. Sfogliando con gusto quelle pagine ho trovato un articolo della “redazione anconetana” sul quale tornerò tra un po’. Dico sin da subito che mi ha lasciato molto amaro in bocca. È anche in relazione a ciò che ho inserito queste poche righe.

domenica 14 ottobre 2007

un batterista di pasaggio - via dal gratis - la batteria blu di marco

Continuavamo a fare le prove al Gratis di Senigallia. Io scrivevo la maggior parte dei testi, Daniele ne aveva scritti un paio (Comunicato e 3, 2, 1… guerra), ma soprattutto lui aveva il compito di “realizzare” le musiche. Delineava la linea melodica e poi definiva il giro di basso, lo insegnava a Donatella e la batteria seguiva. Io ci urlavo sopra. Abbastanza incurante del coordinamento con la musica.
I testi erano rigorosamente in italiano, ma difficilmente si potevano capire, così – per svolgere correttamente la “funzione comunicativa” – li ciclostilavamo e li distribuivamo prima dei concerti, così che – una volta a casa – si potesse capire che diavolo avevamo tanto da urlare in quella mezz’ora sul palco.

Nel tempo ci sarà una svolta, testuale e musicale, ma agli inizi eravamo velocità pura. Quasi hard-core, direi. I pezzi duravano un paio di minuti. Si correva e si urlava, si correva e si urlava. A squarciagola. Ascoltavamo tutti i gruppi della Crass Records e Daniele amava anche l’hard-core americano M.D.C., D.R.I., Black Flag ovviamente… e ancora influenze metal, che però non trasparivano più di tanto.
I testi erano ovviamente iperpoliticizzati: parlavano di scenari post-nucleari, erano invettive contro la politica, lo stato, la droga, lo sfruttamento degli uomini e degli animali. Io e Donatella eravamo vegetariani e nessuno indossava capi in pelle (salvo le scarpe, sigh…). Contro l’abuso di pelli e pellicce avevamo scritto Pelle d’animale («pelle sulla propria pelle/pelle d’animale/pelle sulla propria pelle/ criminale! Criminale!» era il refrain); contro la droga avevamo Create i vostri martiri («Cosa credete di combattere?/Cosa credete di cambiare?/siete parte del sistema/che vi credete di rifiutare»).
Come gruppo rimaneva il problema del batterista. Michele non ce la faceva a seguire due band! Dovevamo correre ai ripari. Pina (che non suonava più, e il suo posto di bassista nei Cracked Hirn l’aveva preso Cavallo, che prima faceva degli interventi di sax nei loro brani) ci presenta un ragazzo con il ciuffo dark alla Bauhaus che mi pare si chiamasse Daniele (ricordo invece il soprannome che la stessa Pina gli diede alcuni mesi dopo, a seguito di avances non gradite…). Non ci piaceva granché, ma avevamo bisogno di un batterista, allora lo arruolammo nel gruppo. Aveva dei rudimenti batteristici ma nulla più. Teneva il tempo. Parlavamo molto poco. Ci dava l’aria del poseur, tanta immagine ma poca sostanza. Eravamo un gruppo politico che diceva le loro cose in musica, primariamente. E dunque l’immagine contava poco. Per lui, probabilmente, era tutto.
Ovviamente durò poco. Non ricordo bene, ma probabilmente non fece mai un concerto con noi.
Anche il Gratis cominciava ad andarci stretto. Per suonare era necessario prenotarsi. Poi c’era il treno da prendere, gli orari da rispettare. Probabilmente anche ai gestori del Gratis i punk cominciavano a stufare. Gran casino per nulla… meglio il jazz.
Cominciammo a valutare la possibilità di suonare a Falconara.
In fondo c’erano ancora i locali dovevo avevo iniziato a suonare con i Black Lizard e… forse c’era anche il batterista disponibile: Marco! Perché non ci avevo pensato prima? Sì, c’era. Era disponibile. Aveva voglia di suonare (aveva lasciato la sua batteria blu nella vecchia stanza-prove), condivideva soprattutto gli ideali non-violenti e pacifisti del gruppo. Era dei nostri: era IL NOSTRO BATTERISTA! E c’era anche la stanza! Tutta per noi, per suonare e fare tutte le attività che volevamo! Un sogno!

giovedì 11 ottobre 2007

ParkinGang

E venne l’ora del primo concerto! Ma il termine non è forse dei più appropriati. Non facevamo concerti! Mica eravamo una rockband! Facevamo “interventi”, “performance” ecc. E proprio di una “performance” si trattò. Era il luglio 1982, il contesto si chiamava Parkingang, si teneva in Piazza del Papa, ad Ancona, ed ospitava – credo – numerosi gruppi “emergenti” (come si usa dire ancor’oggi, senza capire da cosa si debba emergere… boh!). La nostra serata era nata dalla collaborazione del nostro gruppo con i più rodati Cracked Hirn e nientemeno che con i Raf Punk di Bologna, i quali non avrebbero suonato, ma molti del loro collettivo si sarebbero prestati quali interpreti di una performance antinuclearista assieme ad altri punks del maceratese (Trodica di Morrovalle era una città particolarmente ricca di gruppi-collettivi punk).
Due parole sul primo incontro con i Raf per la preparazione della performance: l’appuntamento era in via Rovereto, eravamo tutti più o meno in fibrillazione per la “calata” marchigiana dei bolognesi. Sarebbero venuti Barbara, Laura e Jumpy (e forse qualche altro). Di quel pomeriggio ricordo il loro ritardo bestiale (ore!) e la serenità di Jumpy che, col suo accento bolognese e la erre arrotata, disse candidamente al suo arrivo: «abbiamo fatto tardi…» e poi, ovviamente, i preparativi e il resto.
Ma torniamo alla performance. Il cui titolo mi pare fosse: E=mc2 – La forza e il fascino di una parola nuova. I preparativi iniziarono il pomeriggio. Sul palco ci saremmo alternati con i Cracked, quando suonavamo noi loro sarebbero stati in fondo in posizione contrita, quando suonavano loro noi avremmo preso il loro posto ecc. Solo il povero Michele, batterista stabile dei Cracked e temporaneo degli Azione Non Violenta, avrebbe suonato per tutto il tempo!
Tra i blocchi di brani erano collocati gli interventi attoriali degli altri, che avrebbero coinvolto il pubblico e gli stessi “musicisti” nella scena.
Al calare delle prime luci della sera la piazza si comincia a popolare di punks arrivati da ogni dove (non moltissimi, per la verità, ma abbastanza… a quell’epoca non ne avevo mai visti tanti tutti insieme). Per richiamare gente Carlo, chitarrista dei Raf Punk, si mette alla batteria e comincia a suonare un ritmo sincopato andando avanti fino al momento dell’inizio del concerto. Nel frattempo, un punk ubriaco stonava, da solo, «Do they owe us a living? Of corse they do, of corse they do. Owe us a living? Of corse they fuckin’ do!», barcollando tra le sedie e le bottiglie di birra vuote sotto il palco.
Del concerto ricordo molto poco. Ricordo che non sapevo dove mettere le mani e allora le tenevo ancorate sul microfono. Imparai da quella esperienza a cantare a carponi, inginocchiato o steso a terra, per evitare di muovermi in modo per me imbarazzante. In fondo, continuavo ad essere una persona timida e poco propensa alle relazioni umane. Ma mi trovavo a cantare in una band punk, quindi qualcosa dovevo fare… Mi sembra che il concerto finì con i militari (punk travestiti da militari, ovviamente) che ci prendevano di forza da sopra il palco e ci portavano via. “Sottile” metafora di uno stato militarizzato vendutosi al nucleare che lasciava dietro di sé (sotto il palco, con i volti rigati di rosso sangue) uomini e donne martoriati.

Azione Non Violenta (e i Cracked Hirn sullo sfondo, in bianco: Barbara a destra e i maceratesi sulla sinistra)




i Cracked Hirn (e noi sullo sfondo)
...cosa darei per sapere dov'è finita la bandiera!