venerdì 30 maggio 2008

Falconara-USA

Era il 19 dicembre 1983 quando iniziammo a suonare nelle stanze, dopo una sequela burocratica che iniziò ad ottobre. Lì iniziò la nostra vera vita di gruppo. Inteso sia come gruppo musicale che come gruppo di persone che si ritrovavano per stare assieme. Andavamo meno nella sede dei SubPunks di Ancona, a volte venivano loro da noi, anche perché tutti cominciavano a considerare con la bava alla bocca la possibilità di avere una sala prove a disposizione, già attrezzata, e a un tiro di schioppo dal capoluogo…
Avevamo una manciata di canzoni: “Italia (Grande Stato)”, "Comunicato", "Pelle d'animale", "3,2,1... guerra". Il testo di “Create i vostri martiri” lo scrissi il 14 ottobre, un venerdì. Ce l'avevo coi tossici, mi dava fastidio la loro supponenza dall'alto del loro sballo. Mi sebravano inutili nella loro protesta che non portava a nulla. Eravamo contro tutte le droghe (di lì a poco rivedemmo la nostra opinione sulle droghe leggere...), ma soprattutto contro chi le usava e contro il mercato di morte.

Quel 19 dicembre era lunedì, e le cronache riportano che suonammo due pezzi. Ovviamente non ricordo quali. Ma già il 26 ne suonammo cinque! Che saranno stati sicuramente quelli citati sopra!

L'attività con i SubPunx anconetani andava avanti, si allacciavano contatti fuor di confine (nazionale!) e sembrava che tutto ruotasse attorno a noi. Scrivevamo articoli per le fanzine americane, traducevamo i nostri testi in inglese per spedirli ai punks a stelle e strisce, la scena hardcore imperversava e sembrava che i primi di febbraio del 1984 dovessero venire a suonare ad Ancona i Million of Dead Cops e che noi dovessimo aprire il loro concerto... eravamo esaltatissimi! Credo che il loro tour italiano i MDC lo fecero, ma senza passare per Ancona e dunque senza la nostra apertura... peccato!
Tuttavia, la nostra strada verso la notorietà si stava dipanando velocemente... avevamo da suonare per una manciata di minuti ed era impossibile reggere un concerto vero e proprio. Lavoravamo quindi su nuovi pezzi e, soprattutto, su nuove sonorità.
I due pezzi che segnarono la svolta furono “Bambini buoni” e “Sole nero”: i testi diventavano più intimisti, cominciavano ad avere a che fare con il disagio e con la solitudine, con la sofferenza e la difficoltà di condividere la vita con persone che sentivamo distanti anni luce da noi... La musica stava cambiando, sopratutto la chitarra di Daniele. Noi non lo sapevamo, ma stavamo assorbendo la lezione dei Crass e dirigendoci verso le atmosferee più plumbee del post-punk. Il rumore e la velocità ci attraeva sempre meno, avevamo voglia di far capire le nostre parole senza dover per forza far girare un volantino con i testi.
Attenzione: all'epoca le nostre sonorità erano assolutamente radicali e poco ascoltabili, ma a distanza di vent'anni la musica ha subito un cambiamento enorme, passando per l'heavy metal, il nu-metal, lo ska e l'hip hop, la musica industriale e quella elettronica. Lo stupore è che ascoltando oggi i nostri pezzi ti viene da dire: “Cazzo! Ma questa roba oggi passarebbe alla radio!”
E comunque fu grazie a questa svolta che acquisimmo un'identità nostra, smettendola di scimmiottare gli altri gruppi punk e diventando Azione Non Violenta.
Dal punto di vista musicale ci furono alcuni gruppi che più di altri permisero questo passaggio: i Franti, innanzitutto, e – di sponda, non detto ma piuttosto evidente – la chitarra di The Edge degli U2.

Comunque sia, eravamo molto attivi. E cominciammo ad esserlo anche nella vita politica di Falconara, iniziando a confrontarci e a collaborare con i gruppi pacifisti e antinuclearisti della città (era l’epoca delle centrali nucleari, dei missili di Comiso ecc.). La prima iniziativa frutto di questa collaborazione fu una manifestazione in piazza Mazzini dove – il 18 marzo dell'orwelliano 1984 – suonammo in un contesto eterogeneo composto da comunisti, anarchici, cattolici e varie altre anime. La formazione era quella consolidatasi negli ultimi mesi: io, Daniele alla chitarra, Marco alla batteria e Donatella al basso. Per l’occasione Peppino Ragnetti, un compagno anarchico col quale mi ricordo di essere andato a un concerto di Guccini a Giulianova e aver resistito con lui e alcuni altri con il pugno alzato per tutta la durata de “La locomotiva”, manovrava le luci di un impianto assurdo, con i fili elettrici che penzolavano sopra le teste nostre e quelle del pubblico. Le foto ce le ha fatte Oskar dei Rivolta dell’Odio, artista già dall’epoca, e infatti tagliò di netto tutte le teste e non usò il flash, lasciando soltanto poche immagini realmente comprensibili. All’epoca portavo dietro una canonet della Canon, acquistata usata da mio padre da un suo amico con la passione della fotografia. Ovviamente non era una reflex, ma una “compatta evoluta”, con la messa a fuoco e l’esposimetro.

Avevamo predisposto anche alcuni cartelli, uno con il testo di “They lie We Die” dei Flux of Pink Indians, e – ovviamente – la nostra bandiera. C’erano tutti i soliti noti, più – però – il “popolo” falconarese, che scopriva i nostri suoni lancinanti e ci guardava tra lo stupito e l’esterrefatto.